Della SOFFERENZA

Ovvero come resistiamo al dolore e al piacere.

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La sofferenza è dolore e – in dosi di gran lunga più massicce – resistenza al dolore: fin qui ci siamo ma desidero spingermi un po’ più in là.

In termini più ampi direi che la sofferenza è la sensazione indotta dall’esperienza, ad esempio il dolore, a cui si somma – facendo la parte del leone – la resistenza all’esperienza. Quindi anche un’esperienza piacevole può indurre sofferenza se a essa non mi lascio andare completamente così come la vita me la sta proponendo.

Appare curioso associare piacevolezza e sofferenza: effettivamente quest’ultima è notoriamente collegata al disagio e in genere ai cosiddetti “bassi della vita”. D’altra parte è facile rendersi conto che la frazione di gran lunga maggiore di sofferenza non è legata all’evento in sé – il “basso della vita” ad esempio – bensì al modo in cui ne facciamo esperienza, cioè al modo in cui lo percepiamo e lo viviamo. Non accogliere, non vivere, non attraversare, non sentire o addirittura negare l’esperienza del dolore induce in noi la stragrande maggioranza della sofferenza. Rendersi conto di questo, anche solo parzialmente, è già un buon punto di consapevolezza per la persona.

Ciò che è meno riconosciuto e che fa parte delle mie recenti esperienze, tanto personali quanto come counselor, è che anche gli “alti della vita” inducono resistenza in noi, in modo sottile ma altrettanto efficace: che ciascuno abbia un potere personale semplicemente dovuto alle sue innate e uniche qualità è una cosa che pochi sono disposti ad ammettere e ancor meno sono disposti a vivere. Significherebbe accogliere l’idea che abbiamo un Valore e che ce lo meritiamo: un’impresa per molti improponibile al giorno d’oggi. Ed ecco che allora una giornata all’insegna della “tranquillità attraverso la banalità”, vissuta senza infamia e senza lode, in modalità risparmio e con un sorriso compiaciuto diventa l’abitudine cui aggrapparsi per non sentire il dolore.

“Una vita media, senza pretese, dove si mantiene un profilo basso e non si tenta mai di fare qualcosa di grande, né per sé né per gli altri.”*

 

Una vita che finisce con il non avere spazio per accogliere alcuna profonda felicità né per sentire la sua immane forza motrice, esattamente come prima avveniva con il dolore.

Tirare il freno a mano nella manifestazione di tutte, o quasi, le nostre qualità e potenzialità sub-utilizzando le nostre risorse, equivale a indurre in noi sofferenza né più né meno che resistere al dolore. La resistenza, che sia verso il basso o verso l’alto, è sempre opposizione al pieno manifestarsi della vita dentro e fuori di noi. E l’opposizione è sempre sofferenza.

Prima o poi il non mettere in campo operativamente le nostre risorse comincia a lasciarci insoddisfatti e sofferenti ben più di quanto potrebbe fare qualunque dolore, a cui peraltro siamo già ampiamente assuefatti.

Osservare questo comprendendone l’importanza evolutiva per la nostra personale ricerca della felicità, è un passaggio fondamentale per l’incontro con il nostro Maestro Interiore, colui che colloca quotidianamente – e magistralmente direi – gli alti e bassi della nostra vita esattamente dove devono essere, cioè su misura per noi.

(*) Brizzi S., La Via della Ricchezza, Anima Edizioni, MI, 2017, pag. 32.

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